La nascita di un figlio comporta innumerevoli conseguenze, sia sul piano personale e sociale, sia sul piano giuridico.
La nascita di un bimbo è infatti elemento necessario e sufficiente per vincolare i genitori al rispetto di numerosi obblighi, imposti dalla legge a tutela e protezione del fanciullo.
Sul punto, una delle norme maggiormente rilevanti è senz’altro costituita dall’art. 316 bis c.c, il quale prevede che “i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo”.
Ciò significa, in buona sostanza, che i genitori devono cooperare tra loro al fine di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.
Con specifico riferimento all’obbligo di mantenimento, accade spesso che, a seguito della separazione dei genitori (indipendentemente dal fatto che siano sposati o meno), il Tribunale imponga al genitore non convivente il pagamento di una somma a titolo di concorso nel mantenimento del figlio, da corrispondersi sino al momento in cui questi diventerà economicamente autosufficiente.
Infatti, l’obbligo di mantenimento gravante in capo al genitore non cessa con il compimento della maggiore età del figlio, ma si protrae fino al momento in cui quest’ultimo fa il proprio ingresso effettivo nel mondo del lavoro, con la percezione di una retribuzione (sia pure modesta).
L’obbligo del mantenimento dei genitori consiste infatti nel dovere di assicurare ai figli, anche oltre il raggiungimento della maggiore età, e in proporzione alle risorse economiche del soggetto obbligato, la possibilità di completare il percorso formativo prescelto e di acquisire la capacità lavorativa necessaria a rendersi autosufficiente (Corte di Cassazione, ordinanza n. 19696/19).
Tuttavia, il mantenimento al figlio è garantito anche nel caso in cui, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, questi, pur non riuscendo nell’intento, si adoperi effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni (Corte di Cassazione, ordinanza n. 29779/20).
Pertanto, in conclusione, l’unica ipotesi in cui la legge consente al genitore di cessare il mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente è quella in cui questi non svolga alcuna attività lavorativa tale da renderlo indipendente anche parzialmente, e tantomeno risulti che egli abbia, in tutti i modi possibili e ragionevoli, cercato soluzioni lavorative adeguate.
In questo caso, infatti, non appare né giusto né ragionevole trasferire in capo al genitore le conseguenze negative della condotta del figlio che non intenda consapevolmente progredire né dal punto di vista economico né dal punto di vista sociale.
Al verificarsi di tale situazione, il genitore che intendesse rivedere i termini del rapporto economico con i figli, potrà quindi rivolgersi al Tribunale, al fine di vedersi sollevato dall’obbligo di corresponsione dell’assegno mensile di mantenimento.