Imputato sottoposto ad amministrazione di sostegno e il proprio diritto di nominare un difensore di fiducia

Il tema è stato recentemente affrontato da due sentenze della Corte di Cassazione Penale che si vanno ad analizzare sinteticamente.

Corte di Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza 25 gennaio 2018, n. 3659 – Pres. Rosi; Rel. Scarcella
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3659 del 25 gennaio 2018, ha affrontato la questione della nomina del difensore di fiducia da parte dell’amministratore di sostegno di un imputato. La Corte ha stabilito che se l’amministratore è espressamente autorizzato dal giudice tutelare a nominare un difensore, non vi è violazione del diritto di difesa. Il giudice tutelare ha il potere di conformare i poteri dell’amministratore, incluso quello di nominare un difensore fiduciario, se ciò è ritenuto necessario per proteggere gli interessi dell’imputato nel processo penale. La Corte ha anche chiarito che la mera sottoposizione a un’amministrazione di sostegno non implica automaticamente l’incapacità di partecipare consapevolmente al processo, distinguendo tra incapacità processuale e mancanza di imputabilità.

Corte di Cassazione Penale, II Sezione, Sentenza n. 34753 del 31 maggio-9 agosto 2023
La sentenza n. 34753 del 31 maggio-9 agosto 2023 della Corte di Cassazione ha confermato che un imputato sotto amministrazione di sostegno conserva il diritto di nominare un difensore di fiducia. L’amministrazione di sostegno, secondo l’articolo 409 del codice civile, non toglie al beneficiario la capacità di agire per gli atti che non richiedono l’assistenza esclusiva dell’amministratore. Pertanto, se l’imputato è capace di intendere e di volere, può esercitare il diritto di scegliere autonomamente un difensore.

Confronto e Conclusioni
Entrambe le sentenze riconoscono l’importanza della capacità di agire dell’imputato sottoposto ad amministrazione di sostegno. La sentenza del 2018 enfatizza il ruolo del giudice tutelare nell’autorizzare l’amministratore di sostegno a nominare un difensore, mentre la sentenza del 2023 sottolinea la capacità residua dell’imputato di fare tale scelta. In entrambi i casi, la capacità di intendere e di volere dell’imputato è il criterio fondamentale per determinare la validità della nomina del difensore.
La giurisprudenza mostra un’evoluzione verso il riconoscimento dell’autonomia dell’imputato, pur nel contesto di un’amministrazione di sostegno. La capacità di agire non è completamente rimossa, ma limitata solo agli atti che il giudice specifica nel decreto di amministrazione di sostegno. Questo approccio rispetta la dignità e l’autonomia dell’individuo, garantendo nel contempo la protezione necessaria attraverso l’amministrazione di sostegno.
In conclusione, la giurisprudenza sembra orientata a bilanciare la protezione degli individui vulnerabili con il mantenimento della loro autonomia legale, in particolare nel contesto del diritto penale e della capacità di scegliere un difensore di fiducia.

La Sentenza di Proscioglimento per Estinzione del Reato a Seguito di Condotte Riparatorie

L’ordinamento giuridico italiano prevede diverse forme di estinzione del reato, tra cui quella a seguito di condotte riparatorie. Questa particolare forma di estinzione rappresenta un’importante evoluzione nel panorama giuridico, mirata a valorizzare le azioni riparatorie dell’imputato. Analizziamo nel dettaglio questa figura giuridica.

1. Conseguenze della Sentenza di Proscioglimento per Condotte Riparatorie
La sentenza di proscioglimento per estinzione del reato a seguito di condotte riparatorie ha come principale conseguenza l’estinzione del reato stesso. Questo significa che, anche se la condotta iniziale avrebbe potuto configurare un reato, la successiva azione riparatoria dell’imputato ha portato all’estinzione della responsabilità penale.

Questo meccanismo sottolinea l’importanza della riparazione e del risarcimento come strumenti di riconciliazione tra l’offeso e l’offensore, nonché come mezzi per ristabilire l’ordine giuridico violato.

2. Spese Processuali e Proscioglimento
Le spese processuali rappresentano un aspetto fondamentale del procedimento penale. In caso di proscioglimento, la normativa prevede che le spese possano essere poste a carico dello Stato. Tuttavia, la decisione finale sulle spese è a discrezione del giudice, che valuterà le circostanze specifiche del caso.

Il giudice può, infatti, decidere di addebitare le spese all’imputato, allo Stato o di dividerle tra le parti. Questa decisione viene presa considerando vari fattori, tra cui la natura del reato, le condotte delle parti durante il processo e le eventuali condotte riparatorie.

3. Implicazioni sul Casellario Giudiziale
Il casellario giudiziale è un registro che raccoglie le sentenze penali definitive. Una delle principali preoccupazioni di chi subisce un procedimento penale è la possibile annotazione nel casellario. Tuttavia, la sentenza di proscioglimento per estinzione del reato a seguito di condotte riparatorie non comporta una annotazione nel casellario giudiziale generale.

È importante sottolineare, però, che potrebbe esserci una temporanea annotazione nel casellario giudiziale per carichi pendenti. Questa annotazione rimarrà fino all’estinzione del procedimento e, una volta estinto, verrà cancellata, rendendo la sentenza non visibile nel casellario.

Conclusione
La sentenza di proscioglimento per estinzione del reato a seguito di condotte riparatorie rappresenta un importante strumento giuridico che valorizza la riparazione e il risarcimento. Attraverso questo meccanismo, l’ordinamento giuridico italiano promuove la riconciliazione e il ristabilimento dell’ordine sociale, garantendo al contempo la tutela dei diritti dell’imputato.

Videosorveglianza senza accordo sindacale: La Corte di Cassazione è tornata a confermare l’orientamento secondo cui il consenso del lavoratore non esime dalla responsabilità penale

Telecamere sul luogo di lavoro, sono vietate? Se da una parte è vero che deve essere tutelata la privacy dei dipendenti, dall’altro c’è l’esigenza del datore di lavoro di vigilare sul patrimonio aziendale, anche riprendendo l’attività lavorativa.

Lo Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970) all’articolo 4 vieta esplicitamente l’utilizzo di impianti audiovisivi adibiti al controllo dei dipendenti. Divieto richiamato anche dalla successiva normativa sulla privacy.

Esistono però dei casi in il datore di lavoro può legittimamente installare un sistema di videosorveglianza senza incorrere in sanzioni.

Lo Statuto dei Lavoratori, all’articolo 4, stabilisce che le telecamere negli ambienti di lavoro possano essere installate per:

  • particolari esigenze produttive o organizzative;
  • assicurare la sicurezza dei dipendenti;
  • tutelare il patrimonio aziendale.

Le Società che ricadono nell’ambito di applicazione e che per esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro, o di tutela del patrimonio aziendale, intendono installare apparecchiature dalle quali può derivare un controllo a distanza dei lavoratori, possono dunque procedere in tal senso:

  • accordo sindacale con le RSU aziendali, ove presenti;
  • istanza all’Ispettorato territoriale del Lavoro competente per territorio (ITL).

Ma in mancanza di tali condizioni, il consenso (anche dato per iscritto) dei singoli lavoratori ripresi è sufficiente?

In una recente pronuncia della Corte di Cassazione penale, di inizio 2020, la Corte ribadisce un orientamento già espresso in passato: “… il consenso del lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma prestato (anche scritta, …), non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice.” “… a conferma della sproporzione esistente tra le rispettive posizioni, basterebbe (infatti, ndr) al datore di lavoro fare firmare a costoro, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accettano l’introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato, perché ritenuto dal lavoratore stesso, a torto o a ragione, in qualche modo condizionante l’assunzione.”

Procedimento di applicazione della sanzione

E se non si rispettano le regole?

Gli Ispettori del Ministero del lavoro, una volta verificata l’installazione di impianti audiovisivi in assenza di un preventivo accordo con le organizzazioni sindacali o dell’autorizzazione rilasciata da parte dell’Ispettorato territoriale del lavoro, deve impartire una prescrizione alla Società inadempiente. Nel verbale ispettivo dovrà essere fissato un termine per la rimozione degli impianti illegittimamente installati. Per limitare l’applicazione della sanzione penale, la Società potrà, nel frattempo, siglare l’accordo o richiedere l’autorizzazione.

Sanzioni in caso di violazione

In caso di violazione al disposto legislativo, viene prevista una sanzione penale (ammenda) che va da 154,00 a 1.549,00 euro ovvero l’arresto da 15 giorni ad un anno (art. 38 della legge n. 300/1970), salvo che il fatto non costituisca reato più grave.

Qualora nel periodo di tempo fissato dall’organo di vigilanza per lo smontaggio delle apparecchiature, venga siglato l’accordo sindacale ovvero venga rilasciata l’autorizzazione della competente Direzione territoriale del lavoro, venendo meno i presupposti oggettivi dell’illecito, l’ispettore potrà ammettere “il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di 30 giorni, una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilità per la contravvenzione commessa” (art. 21 d.lgs. n. 758/1994).