Come noto, nella generalità degli affari immobiliari, la parte venditrice e la parte acquirente, prima di addivenire alla stipula del contratto di compravendita avanti al notaio, cristallizzano la propria volontà negoziale nel c.d. contratto preliminare: a differenza della vendita vera e propria, che provoca come effetto istantaneo il trasferimento del diritto di proprietà sull’immobile (e per questo viene classificata come contratto c.d. traslativo), il preliminare di vendita obbliga le parti che lo concludono a stipulare, in un momento successivo, il contratto di compravendita definitivo (rientrando quindi nella categoria dei contratti ad efficacia c.d. obbligatoria).
Attraverso il preliminare, in altre parole, l’acquirente e il venditore assumono l’impegno reciproco di concludere l’affare, assicurando il trasferimento del diritto di proprietà.
Nel corso delle trattative, può accadere che le parti scoprano l’esistenza di alcune irregolarità urbanistiche riferibili all’immobile oggetto della contrattazione, tali da renderlo sostanzialmente difforme dal relativo provvedimento amministrativo di concessione edilizia.
La questione riveste non poco peso, atteso che l’art. 40 della legge n. 47/1985 (“Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia. Sanzioni amministrative e penali”) prevede espressamente la sanzione della nullità per i contratti che abbiano ad oggetto immobili privi della necessaria concessione edificatoria.
Sul punto, è importante rilevare, in prima battuta, che l’art. 40 della legge n. 47/1985 deve trovare applicazione solo con riferimento ai contratti con effetti traslativi (come la compravendita), ma non nei confronti dei contratti con efficacia obbligatoria (tra i quali è incluso anche il contratto preliminare).
Pertanto, il contratto preliminare avente ad oggetto un immobile sprovvisto di concessione edilizia o da quest’ultima difforme continuerebbe a spiegare i propri effetti, non potendosi considerare nullo ai sensi dell’esaminata normativa.
Tanto premesso, appare legittimo interrogarsi su quale sorte tocchi al contratto di compravendita avente ad oggetto il medesimo immobile: se, come sopra esposto, la nullità di cui all’art. 40 della legge 47/1985 colpisce solo i contratti ad effetti traslativi, tra i quali rientra la compravendita, si giungerebbe al paradosso di “salvare” il preliminare per poi ritenere nullo il contratto definitivo?
In risposta a tale quesito, come sottolineato in più occasioni dalla Corte di Cassazione, è sufficiente ricordare che la predetta nullità deve essere qualificata come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile.
Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.
In altri termini, la nullità prevista dalla legge 47/1985 andrà a sanzionare solo gli atti di compravendita che, al proprio interno, non facciano menzione degli estremi del provvedimento di concessione urbanistica, non rilevando, ai fini della validità dell’atto, che l’immobile compravenduto presenti difformità urbanistiche rispetto alla relativa concessione edificatoria.