Fideiussioni omnibus e normativa antitrust: le possibilità di liberazione del garante – parte 1

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PARTE 1: INQUADRAMENTO NORMATIVO

Con la legge n. 287/1990 (c.d. legge antitrust) sono state previste alcune norme a tutela della libera concorrenza e del mercato nazionale. In particolare, il Legislatore ha vietato le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale (o una parte rilevante di esso) attraverso attività consistenti, tra l’altro, nel “fissare direttamente o indirettamente prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali”.

In altre parole, l’ordinamento si è erto a difesa del diritto di iniziativa economica, impedendo la nascita e lo sviluppo di intese economiche, l’abuso di posizioni dominanti e le concentrazioni di imprese.

Ai sensi dell’art. 2 della legge antitrust, ogni intesa conclusa in violazione della disciplina ivi contenuta deve essere ritenuta nulla a tutti gli effetti, con importanti riflessi sul piano giuridico.

È agevole intuire come un’intesa anticoncorrenziale tra imprese possa assumere le forme più disparate, provocando, ad esempio, la fissazione diretta o indiretta dei prezzi di acquisto di beni o servizi, la spartizione delle fonti di approvvigionamento o di parti del mercato, l’applicazione di condizioni contrattuali ed economiche notevolmente (ed ingiustamente) più svantaggiose solo per alcuni dei concorrenti, il blocco degli accessi al mercato da parte dei soggetti economicamente più deboli, la previsione di condizioni contrattuali uniformi.

Tale ultima ipotesi, in particolare, ha sancito il parziale superamento di una tipologia di contratto di garanzia molto diffuso in ambito bancario: la fideiussione omnibus.

Con il contratto di fideiussione omnibus, un soggetto terzo accetta di garantire una serie indeterminata di differenti operazioni poste in essere tra la banca e il cliente (debitore principale), prestando garanzia per tutte le obbligazioni da quest’ultimo assunte in un determinato arco di tempo o fino ad un ammontare prestabilito.

La ragione per cui tale tipologia di contratto si è posta in contrasto con la normativa antitrust è presto spiegata: i contratti conclusi tra la banca e i singoli garanti ricalcano uno schema negoziale unico, predisposto nel 2002 dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI).

In altre parole, gli istituti di credito aderenti all’ABI, operanti su tutto il territorio nazionale, utilizzano sin dal 2002 un modello contrattuale assolutamente identico, persino nella numerazione delle singole clausole applicabili.

Sulla base di quanto esposto in precedenza, è intuitivo immaginare come la fattispecie sopra descritta possa essere qualificata come fissazione diretta, da parte delle imprese operanti nel settore bancario, di condizioni contrattuali da applicare in modo uniforme nel mercato di riferimento, creando così una illecita interferenza nei meccanismi di autoregolazione del libero mercato economico. Semplificando in modo estremo, tale meccanismo provocherebbe un appiattimento tale dell’offerta contrattuale che nessun istituto di credito sarebbe spinto a proporre condizioni migliorative per la clientela, tutelato da una sostanziale mancanza di competizione.

Pertanto, considerata la sua potenziale idoneità a violare la legge n. 287/1990, lo schema di contratto di “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie” predisposto dall’ABI, veniva esaminato sia dalla Banca d’Italia che dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nel marzo del 2003.

Successivamente, con provvedimento n. 55 del 05.05.2005, la Banca d’Italia individuava tre specifiche clausole previste dal modello ABI (e, di riflesso, dalla quasi totalità degli istituti di credito operanti sul territorio nazionale) come potenzialmente lesive della concorrenza:

1) “il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo

2) “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”;

3) “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato”. Tale clausola, in particolare, permette alla banca di agire nei confronti del fideiussore anche oltre il termine di sei mesi previsto dall’art. 1957 c.c., con notevole aggravio per la posizione del garante.

Nell’interpretazione fornita dalla Banca d’Italia, tali clausole non risulterebbero funzionali all’erogazione del credito, avendo quale unico scopo quello di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa.

Giunti a tale punto, è legittimo interrogarsi su quali siano stati gli effetti generati dal provvedimento della Banca d’Italia sulle fideiussioni esistenti stipulate sulla base del modello ABI 2002, e se, in qualche modo, i soggetti che hanno prestato garanzie a favore della banca possano vittoriosamente liberarsene.

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